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al testo di Amina Narimi
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Fa vedere l’anima di spalle senza bisogno di voltarsi, con la schiena incurvata sopra il secchio mentre gira l'orzo con le braccia e le mani come a trattenere seni gonfi di latte.
Ha una voce d’amore il fiato caldo tra le scapole ricostruisce l’unità nel più semplice disegno.
Comincia con le orecchie la sua storia, la discesa dolce in fondo al ventre di un padre col neonato sul capezzolo, quando preme l’esile membrana del risveglio, il verso non formato ancora e la carezza, che dovrà percorrere la mano, dallo specchio al volto. -mi sono amata tanto, per amare, ho leccato il sale in prossimità del suolo mi sono vista fiume ed alveo vuoto poi ancora acqua e dèi, la linfa dell’ulivo, un vino nero senza Dio. Negli occhi il senso misterioso delle uccelle quando covano nel ghiaccio i rami rigidi dei pini, il grido delle foglie di oleandro finchè un cervo in mezzo al petto trattenuto dal morire non mi venne a respirare con violenza fra le ossa in questo mondo. E' così la morte, un solo chicco, ma la risaia è immensa, e oltre il cuore
c’è un bambino- nel crampo della pancia, il suo puntare nella stalla a chiamare gli animali con la gioia appoggiata sulle mani- che risale le rapide del fiume.
Lui solo può cantare come fa l’arcobaleno a venir fuori, col profumo ricurvo di bellezza, la splendente creatura che da basso, più forte di una forma, riverbera l’eterno.
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